Da gennaio 2024, l’industria cinematografica italiana si è praticamente fermata. Una paralisi silenziosa che ha investito ogni livello della filiera produttiva: dagli sceneggiatori agli attori, dai tecnici alle case di produzione. In molti non se ne sono accorti, forse distratti dal calo costante degli spettatori in sala. Ma la realtà è che da oltre sedici mesi le produzioni sono in stallo. Il motivo? La gestione del tax credit.
Nell’episodio 25 del podcast Bravi Tutti, si cerca di fare luce su questa crisi che rischia di minare alla base l’intero sistema audiovisivo nazionale. Per comprendere davvero cosa sta accadendo — e cosa potrebbe accadere nei prossimi mesi — si ascoltano le voci di chi questo mondo lo conosce bene: l’attrice e formatrice Azzurra Martino, il giornalista e scrittore Ugo Barbàra, e Giorgio Glaviano, sceneggiatore e presidente di WGI (Writers Guild Italia), sindacato degli scrittori di cinema, tv e web.
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Cos’è il tax credit
Introdotto nel 2008 e riformato nel 2016 con la legge Franceschini, il tax credit ha rappresentato un volano importante per la produzione cinematografica italiana, permettendo ai produttori di ottenere crediti fiscali fino al 40% delle spese sostenute, con un tetto complessivo di 500 milioni di euro. Tuttavia, a fronte di quell’impegno, lo Stato ha concesso crediti per quasi un miliardo, generando un buco che il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha giudicato insostenibile. Da qui è nato l’intervento del ministro Gennaro Sangiuliano, volto a “fare ordine” nel sistema.
Ma come spesso accade, “la pezza si è rivelata peggiore del buco”. Le nuove regole sono state introdotte senza un reale confronto con le parti coinvolte, penalizzando fortemente le piccole e medie produzioni a favore dei grandi colossi – spesso stranieri – che continuano a beneficiare del sistema. Il risultato? Un intero settore bloccato, e migliaia di lavoratori rimasti senza prospettive.
Le vite sospese degli attori
A raccontare in prima persona gli effetti concreti di questo blocco è Azzurra Martino, attrice pugliese con vent’anni di esperienza tra set e laboratori teatrali, che ha collaborato con Checco Zalone e Carlo Verdone. Le sue parole restituiscono il volto umano di una crisi che ha interrotto percorsi, congelato progetti e reso ancora più fragile un mestiere già incerto.
«Il decreto non ha fatto altro che aiutare le produzioni più grosse mettendo in un angolo le piccole e medie produzioni cinematografiche», denuncia Martino, sottolineando come il sistema stia penalizzando proprio quelle realtà che offrono lavoro a tanti attori non di prima fascia. La conseguenza? Meno film, meno provini, meno opportunità.
Nel suo racconto emerge un senso di smarrimento quotidiano: «È cambiato tutto […] noi già navighiamo a vista, non sappiamo domani che cosa ci succede». Un’incertezza che, nel tempo, si è trasformata in qualcosa di più profondo e doloroso.
«L’attore si dice che viva di attese. […] Ora sono diventate insostenibili e hanno portato gente a cambiare lavoro», confida, parlando di colleghi che hanno dovuto reinventarsi o abbandonare del tutto la professione.
Perché la passione, per quanto intensa, non basta. «La passione non aiuta a vivere, noi lavoriamo. Come tutti, ci applichiamo, affiniamo le tecniche, studiamo». Ma il lavoro dell’attore, quando manca, non è compensato da alcuna forma di tutela. «Noi non siamo tutelati, se non lavoriamo non percepiamo stipendio […] Abbiamo dovuto imparare a fare i conti con il risparmio per i periodi in cui non lavoriamo che ora sono diventati troppi».
Un ritratto autentico e disilluso di una categoria spesso idealizzata, ma che oggi, come tante altre, vive sospesa tra sogni, precarietà e silenzi istituzionali.
Il punto di vista dei produttori indipendenti
La nuova regolamentazione ha introdotto criteri di accesso al tax credit che, di fatto, escludono molte realtà indipendenti. A spiegarlo con chiarezza è Ugo Barbàra, giornalista e caporedattore dell’agenzia Agi, oltre che autore della saga de i Malarazza. Il problema non è solo economico, ma anche strutturale.
“Il problema è che il meccanismo della distribuzione è completamente scollegato dalla produzione […]. L’aver codificato in maniera così rigida il vincolo della distribuzione ha fatto sì che nessun piccolo produttore possa più avere accesso al tax credit”
Un paradosso: chi fa cinema per scelta culturale, senza mirare a incassi milionari, viene penalizzato. E mentre alcuni produttori indipendenti hanno fatto ricorso al TAR – che ha sospeso ogni decisione in attesa di un provvedimento correttivo – la filiera resta in attesa. Tutto questo, a poche settimane dal 13 maggio, data chiave in cui si apre il Festival di Cannes. Presentarsi senza regole chiare rischia di compromettere coproduzioni internazionali e allontanare investitori stranieri.
Le storie che non possiamo più raccontare
A chiudere l’episodio del podcast è la voce di Giorgio Glaviano, presidente del WGI (Writers Guild Italia), il sindacato degli scrittori di cinema, tv e web. È lui a ricordarci che prima dei film e delle serie ci sono le idee. E chi le scrive, oggi, è spesso tagliato fuori dal sistema.
“Il tax credit sostiene sia la produzione seriale che quella filmica. Gli sceneggiatori si trovano a dover subire quello che è un ridimensionamento delle produzioni. È sui a basso budget […] che si costruisce e che si dà linfa al sistema […] Anche i film piccoli riescono a trovare un vasto pubblico.”
Per questo motivo, il WGI chiede di essere coinvolto nelle commissioni che attribuiscono i fondi, per garantire spazio anche alle opere originali e complesse, che raramente rientrano nelle logiche del mercato.
E adesso?
Il futuro del cinema italiano si gioca nei prossimi mesi. Se il governo non presenterà regole chiare, condivise e orientate alla tutela della creatività, il rischio è quello di un crollo strutturale. Ma c’è ancora un’occasione: trasformare questa crisi in una ripartenza, e rilanciare l’Italia come partner credibile nel mercato internazionale dell’audiovisivo.
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