Il monologo è una buona palestra per l’attore: dover gestire un tempo piuttosto lungo sul palcoscenico da soli, senza dialogare con gli altri personaggi, è impegnativo. Bisogna prestare particolare attenzione ai propri gesti, alla voce e ai cambi di intenzione all’interno del testo, altrimenti si finisce per mantenere sempre lo stesso tono e diventare monotoni.
Ecco perché vi consiglio dieci monologhi con cui esercitarvi. Appartengono a generi e periodi storici diversi e alcuni sono considerati dei veri e propri classici. Imparandoli e provando a recitarli, potrete avere almeno una piccola idea della varietà di emozioni, di stili e di atmosfere che il teatro può creare.
Un’unica nota: proprio perché sono così “classici”, potrebbero non essere i testi ideali da presentare ad un provino. I monologhi troppo noti sono una scelta rischiosa, perché potrebbero essere considerati segno di poca originalità e potrebbero portare a paragoni con tutti i celebri attori che l’hanno recitato a teatro o al cinema. Ciò non significa automaticamente che sarete esclusi dalla selezione, perché potreste comunque essere bravissimi e impressionare tutti, ma tenete conto del rischio che potreste correre.
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Dato che gli uomini sono poco adatti a ruoli da donzelle e viceversa, vi propongo dieci monologhi divisi per genere: cinque per personaggi femminili e cinque per personaggi maschili. Iniziamo con quelli per i personaggi femminili:
MEDEA da “Medea” di Euripide
Dopo essere stata ripudiata dal marito Giasone, Medea è decisa a vendicarsi dell’offesa subita. Anche se nelle scene precedenti si è fatta dominare dalla passione, nel suo celebre monologo la donna parla con razionalità. Rivolgendosi alle donne di Corinto, descrive la propria condizione, doppiamente svantaggiata perché donna e per di più straniera. Così facendo, cerca la loro comprensione e tenta di legittimare il suo crudele piano di vendetta, che diventa la giusta punizione per un marito che è venuto meno al vincolo di fedeltà coniugale.
LADY MACBETH da “Macbeth” di Shakespeare (atto V, scena I)
In questa storia, la moglie del protagonista è la vera cattiva, perché è lei che incita Macbeth a commettere i più sanguinosi delitti pur di salire al trono. E se il marito ogni tanto è incerto e sembra pentirsi, lady Macbeth cede al rimorso solo alla fine, quando la visione del sangue delle vittime comincia a perseguitarla e non la lascia dormire la notte.
Nel suo monologo finale, il senso di colpa si trasforma in pazzia e la sua mente cerca di combatterlo, ma senza riuscirci. La pazzia è molto difficile da recitare, ma proprio per questo è una sfida interessante per un’attrice.
NINA da “Il gabbiano” di Čechov (atto IV)
All’inizio dell’opera, Nina sogna di diventare una grande attrice. Nel quarto atto, quando nel tempo della narrazione sono trascorsi ormai due anni, vediamo che non è riuscita a realizzare le sue aspirazioni, ma fa parte di una modesta compagnia di provincia che gira da una città all’altra.
Quando ritorna al suo paese natale, incontra Konstantin, che era innamorato di lei e di nuovo le offre il suo amore. Parlando con lui, Nina esprime tutta la propria delusione e si paragona al gabbiano ucciso che Konstantin le aveva portato due anni prima, ma alla fine si fa coraggio e decide di andare avanti.
DONDOLO di Samuel Beckett
Quest’opera è recitata interamente da un solo personaggio, una donna seduta sulla sedia a dondolo. Il monologo è interrotto solamente dalla sua stessa voce pre-registrata, che in alcuni momenti interviene ad aggiungere qualche dettaglio alla storia.
Come anche in altri testi di Beckett, non esiste uno svolgimento lineare: in questo caso la vicenda si intuisce dagli spezzoni di discorso pronunciati dalla protagonista. La difficoltà di questo testo è che l’attrice deve recitare con voce monotona, quasi senza espressione, ma risultate ugualmente coinvolgente, giocando sulle pause e sulle piccole variazioni di tono.
LETTERA di Karl Valentin
Il testo di Valentin è una lettera scritta da una ragazza al suo innamorato. Fin qui non ci sarebbe nulla di strano, se non fosse che la lettera è piena di assurdità e controsensi e il pubblico non può evitare di ridere, ascoltandola. L’attrice, però, deve rimanere seria e continuare la lettura con voce affranta, altrimenti spezzerà l’illusione e si perderà anche l’effetto comico.
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Ed ecco invece cinque monologhi per personaggi maschili:
EDIPO da “Edipo Re” di Sofocle
Quando scopre di aver involontariamente ucciso il proprio padre e sposato la propria madre, Edipo si acceca per non dover vedere il risultato del sacrilegio che ha commesso. Nel suo monologo finale, il protagonista esprime tutto il suo dolore e spiega che il dono della vista gli sarebbe inutile, perché niente potrebbe più dargli gioia. Anche se è convinto che non esista modo per espiare la propria colpa, decide di andare in esilio lontano da Tebe.
RICCARDO da “Riccardo III” di Shakespeare (atto V, scena III)
Mentre dorme nella sua tenda la notte prima della battaglia, Riccardo è visitato dagli spettri di tutti coloro che ha fatto uccidere per salire al trono e mantenere il potere. Si sveglia di soprassalto e cerca di convincersi che era solo un sogno, ma il rimorso per i delitti commessi non sparisce, anzi diventare sempre più forte.
L’UOMO DAL FIORE IN BOCCA dall’opera omonima di Pirandello
L’uomo dal fiore in bocca è in realtà un uomo a cui è stato diagnosticato un tumore che lo porterà a breve alla morte. Invece di stare in casa, come vorrebbe la moglie, dialoga con un avventore di un bar e gli spiega il suo bisogno di immaginare, di osservare i piccoli gesti della vita e gustarli.
La difficoltà di questo monologo sono i numerosi cambi d’energia nel discorso: un istante il protagonista esprime tutta la sua rabbia, l’istante dopo parla con voce flebile e stanca.
BERENGER da”Il rinoceronte” di Ionesco (atto III, ultima scena)
Nella scena iniziale dell’opera, viene avvistato un rinoceronte in città. In seguito, tutti i personaggi si trasformano progressivamente in rinoceronti, finché Berenger rimane da solo. Dapprima cerca la fidanzata Daisy, poi si rende conto che anche lei è stata presa dalla “rinocerontite” e si rende contro che deve resistere anche lui alla metamorfosi. Alterna momenti di smarrimento in cui non si riconosce più a momenti in cui pensa che diventare un rinoceronte come gli altri potrebbe essere bello, ma alla fine decide di non arrendersi.
LOMOV da “Proposta di matrimonio” di Čechov (scena II)
Lomov ha ormai l’età per sposarsi e decide di andare dal padre di Natal’ja Stepanovna a chiedere la mano della ragazza. Il padre accetta con entusiasmo e va a chiamare Natal’ja. Durante l’attesa, Lomov si fa prendere dall’ansia e, anche se cerca invano si tranquillizzarsi, comincia ad accusare tic e sintomi di strane malattie. All’attore è richiesta l’espressività corporea necessaria per fingere il tic alla palpebra destra e i brividi di freddo.
Oltre a questi, esistono decine, centinaia di altri monologhi ben scritti e significativi per la storia del teatro. Io ve ne ho proposti dieci seguendo i miei gusti personali, ma voi prendete questo post come un suggerimento. Se trovate altri monologhi che vi piacciono, aggiungeteli al vostro repertorio ed esercitatevi anche su quelli: per un attore, essere versatile è sempre un punto in più.
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